di Annito Abate
“Goooooooood Morning Vietnammmmmmmmm, hei non è una prova questa, questo è rock ‘n roll e dunque si rockeggia e si rolleggia …” ore 6:00 del mattino, in diretta dal fronte di guerra a Saigon un esuberante, quanto esilarante, Robin Williams, nell’omonimo film, da la sveglia alla truppe americane distaccate nello Stato del sud-est asiatico.
“Buooooooooongiorno Montorooooooooo, hei non è una prova questa, questa è la raccolta ufficiale della Cipolla Ramata di Montoro …”.
Ore 05:00 del mattino, all’Alba c’è un attimo in cui si gode di un’inaspettata tiepida temperatura che stimola il canto degli uccellini, trasmettendo pace, gioia ed un senso di rilassamento; è questa l’ora in cui le donne si preparano e cominciano a piegare le loro schiene per “onorare” i ramati frutti della Terra.
La cipolla, nome botanico Allium Cepa, famiglia delle Amaryllidaceae, è una pianta erbacea con un ciclo biennale che diventa annuale in campo; sviluppa radici superficiali e foglie nella parte basale, che ingrossandosi diventano poi la parte commestibile. Sul lungo stelo nascono fiori ad ombrello variopinto e cangiante a seconda delle varietà di colore bianco o giallo.
(Raccolta estiva ed essiccazione in campo prima dello stoccaggio)
La storia della cipolla comincia nell’età del bronzo, (5000 A.C. spontaneamente e circa 2000 anni dopo come coltivazione) diventando uno degli alimenti principali dell’umanità.
Viene considerata pianta sacra in Asia Orientale, Asia Minore, in Cina, in particolare, in Egitto la sua forma sferica e gli anelli concentrici erano associati alla vita eterna, l’aroma intenso, si credeva, potesse ridare il respiro ai morti (oggi, scherzando, si potrebbe dire, al contrario, che una scorpacciata di questo frutto della terra potrebbe ammazzare un essere vivente).
Nell’antica Grecia diventa “alimento olimpico” (si pensava “alleggerisse” il sangue); i gladiatori dell’antica Roma vi si strofinavano il corpo per rassodare i muscoli (sempre con una “puntina” di burla, si potrebbe dire che così era più facile vincere le gare, una sorta di doping naturale extracutaneo).
Nel medioevo viene donata ed addirittura usata per pagare i fitti. I medici la prescrivono contro il mal di testa, la caduta dei capelli e come antidoto al veleno dei serpenti.
Se l’America ci ha donato le patate, “Noi”, con Colombo, abbiamo dato agli “USA” le cipolle, prescritte oltreoceano addirittura per l’infertilità delle donne e degli animali domestici.
La Cipolla Ramata di Montoro, pregiato bulbo originario della zona di Montoro è inserita negli specifici elenchi del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali della Regione Campania.
La Cipolla Ramata di Montoro prende il nome dai riflessi luminosi color rame della sua “buccia”, le “tuniche” che la ricoprono; la forma “globosa” può essere simile a quella di una trottola oppure più piatta, all’interno le fitte striature (catafille) alternano, armonicamente, il bianco al viola.
Il metodo di coltivazione è tradizionale, rimasto invariato per tutto il Territorio di produzione e prevede semenzali nell’autunno precedente alla raccolta, trapianto in campo tra gennaio e febbraio (messa a dimora delle piantine, una ad una, a mano in file binate, in attesa, dopo qualche mese, di far vedere la luce ai bulbi cresciuti), raccolta estiva tra giugno e luglio, essiccazione in campo e successivo stoccaggio (in apposite strutture in legno ben ventilate), confezionamento e commercializzazione.
Corpo ramato ed anima striata di bianchi e rosa, la Cipolla di Montoro è bella alla vista, profumata, dolce, saporita, delicatamente aromatica e persistente, cruda oppure cotta (elevata è la tenuta ai “fuochi” per la grande capacità di conservazione dovuta all’alta percentuale di sostanza secca) è uno dei prodotti speciali dell’Irpinia, da non perdere, magari in abbinamenti con i grandi vini bianchi della Provincia.
Coltivare la cipolla, in un certo senso, vuol dire coltivare se stessi se si pensa ai tanti effetti terapeutici sul corpo e sulla mente:
– sul Corpo. Diuretica, depurativa, antiglicemica, antibatterica, antibiotica, fa bene alle vie respiratorie, all’apparato gastro-intestinale ed urinario, combatte l’influenza, le riniti, l’angina, l’ipertensione, la senescenza, l’arteriosclerosi.
Riduce il colesterolo, i trigliceridi, i lipidi, ha proprietà dietetiche e combatte la stanchezza, aumenta le difese immunitarie. Andrebbe consumata cruda.
– sulla mente. Coltivare fa bene, è un metodo riabilitativo del disagio e della disabilità che rientra tra le cosiddette terapie occupazionali.
L’orto, i campi sono spazi terapeutici, luoghi tranquilli in armonia coi ritmi della terra dove svolgere l’attività fisica e rafforzare l’autostima producendo e socializzando con inserimento in un gruppo finalizzato allo svolgimento di una attività comune.
Ristabilire un contatto con la terra vuol dire consapevolezza all’essere abili e competenti, rafforzano la percezione di autoefficacia inducendo un circuito positivo per supportare una migliore riuscita personale.
Imparare le tecniche di coltivazione della terra può essere anche uno strumento utile per un accesso più facilitato al mondo del lavoro, magari al termine di un percorso terapeutico e riabilitativo.
Se ci si vuole davvero bene e ci si vuole prendere cura, contemporaneamente, di corpo e spirito si potranno degustare le sublimi preparazioni possibili con l’utilizzo di questo “storico” e “miracoloso” ingrediente con un abbinamento enoico rigorosamente territoriale; la Genovese ed il Fiano di Avellino sembrano fatti l’una per l’altro!
tratto dal blog di Luciano Pignataro www.lucianopignataro.it
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