Petrosinella

di Daniela Pastore e Tonino Scala

 

 

Ce steva ‘na vota un uomo che faceva ‘o scarparo: aggiustava e costruiva scarpe. Viveva nella miseria. Sua moglie Pascadozia era incinta e abitavano in un vascio, un basso a pianterreno che dava sull’orto di Mamma Orca.In quest’orto ricco di belle verdure, c’era l’insalata, il sedano, altre erbe e‘o petrusino. Prezzemolo? Sì, tanto, ma tanto petrusino.La povera moglie dello scarparo guardava e speriva a vedere tutto quel ben di Dio. Le veniva l’acquolina in bocca.Un bel giorno chiese al marito di andare nell’orto:
«Vincenzo mio caro, ti prego, vai nell’orto di Mamma Orca. Ho tanta voglia di pretusino.»
Il marito però, teneva paura.
«Meglio che vai tu» diceva «se Mamma Orca vede che sei incinta, a te non dice niente.»
Il giorno dopo la signora scese dalla finestra senza farsi vedere da nessuno, andò nell’orto, si prese un bel mazzetto di prezzemolo e se ne tornò a casa salendo sempre dalla finestra.
Ci mise un po’ di sale, un po’ di aglio e olio, e se lo mangiò. Si fece una bella conciata proprio come piaceva a lei.
Il giorno dopo fece la stessa cosa. Ormai aveva preso l’abitudine e lo fece ogni giorno.
E togli oggi, togli domani e togli dopodomani, Mamma Orca iniziò ad accorgersi delle mancanze:
«Qui c’è qualcuno che si sta mangiando il pretusino mio! Devo vedere chi è.»
Mise un asino di guardia al suo orto. convinta che all’arrivo del ladro l’asino avrebbe ragliato.
Il giorno dopo, quando la donna vide l’animale, pensò bene di portarsi con sé un po’ di fieno e lo buttò davanti all’asino. Mentre il ciuccio mangiava, fece ciò che faceva ogni mattina: corse a prendere il pretusino che tanto desiderava.
Mamma Orca vide che altro prezzemolo mancava:
«Mannaggia ccà, mannaggia llà! Ti faccio pagare per questo, per quello e pure per Mariastella.»
Che significava… se acchiappo il mariuolo con le mani nel sacco, lo faccio pentire per oggi, per ieri e pure per l’altro ieri.
Mamma Orca allora tolse l’asino e mise di guardia il cane.
Pascadozia che era fina fina, furba furba, quando vide il cane si portò una pagnotta, la buttò innanzi all’animale e mangiò come ogni mattina il suo amato pretusino.
Mamma Orca era sempre più arraggiata, davvero incavolata! Tolse il cane e mise un gallo e pure stavolta ‘a facette fessa. Sì portò del grano, lo gettò davanti al gallo e si mangiò come sempre il pretusino.
Mamma Orca non ne poteva più e non appena arrivò la notte, si seppellì nell’orto, lasciando solo l’orecchio fuori dal terreno tra le foglie del prezzemolo.
Quando fu mattina, puntualmente, la moglie dello scarparo scese giù dalla finestra e fece il suo raccolto, ma non si accorse però dell’orecchio, e insieme al pretusino tirò su anche Mamma Orca.
«Ah, ho scoperto la mariola che viene a rubare nella terra mia. Ora, hai finito di campare!» Disse Mamma Orca.
Si fece ancor più brutta di quello che era.
«Fatelo per carità, non mi uccidete, io sono incinta. L’ho fatto solo per questo.»
«Sei incinta? Allora va bene, io non ti faccio niente, però a patto che quando partorisci tua figlia devi darla a me.»
«Certo, certo ve lo prometto.»
Teneva paura la moglie dello scarparo, in quel momento avrebbe promesso qualsiasi cosa.
«E allora… ci siamo intesi?» Disse Mamma Orca, «Ora puoi andare!»
Quella, più morta che viva, tornò a casa e si confidò con la vammana, la levatrice che aiutava le donne a partorire in casa, la quale cercò di tranquillizzarla dicendo «Ma non ti preoccupare… si fanno tante promesse. Lascia passare il tempo, quando arriverà il momento si vedrà. Per ora pensa solo a tua figlia.»
Arrivò il momento del parto, Pascadozia partorì una bella creatura paffuta tonna tonna, con i capelli biondi e con un bel ciuffo di prezzemolo in petto, tanto da guadagnarsi il nome di Petrusenella.
Passarono sei…sette anni. Pascadozia mai avrebbe immaginato di dire a Mamma Orca questa è mia figlia, prendetevela.
Mamma Orca, a dir la verità, non disse niente nemmeno lei per tutti quegli anni. Poi un giorno la incontrò mentre stava andando a scuola. La chiamò e disse: «Nenna mia bella, dincéllo a màmmeta ‘e chella prumessa.»
E Petrusenella quello fece:
«Mammà…»
«Che c’è?» Rispose la madre.
«Ho incontrato una donna.»
«E allora?»
«Mi ha detto: bambina bella devi dire a tua madre che si deve ricordare della promessa.»
«Non darle retta, lascia perdere.»
Passò altro tempo, Mamma Orca incontrò di nuovo la bambina:
«Nenna mia bella, dincéllo a màmmeta ‘e chella prumessa.»
Lei tornò a casa e come la volta precedente…
«Mammà ho incontrato di nuovo quella donna brutta brutta, mi ha detto che ti dovevo ricordare della promessa.»
«E va bbuò, nun’ ‘a da’ retta.»
Il tempo passava e l’orca continuava a mandare quel messaggio alla mamma di Petrusenella che nel frattempo si era fatta grande, era diventata proprio una bella signorina.
Un bel giorno Mamma Orca vedendola attraversare le disse: «Bimba mia vieni qua!» e le fece un graffio sul viso. Poi aggiunse: «Ecco, ora vai a casa e dici a tua madre di ricordarsi di quella promessa!»
Petrusenella con il sangue che le colava dalla faccia corse subito dalla madre che spaventata le chiese: «Cosa è successo? Chi ti ha fatto male? Dove ti sei fatta male?»
«Ma non mi sono fatta male. Ho incontrato di nuovo Mamma Orca che mi ha ricordato sempre la stessa cosa… la promessa.»
La moglie dello scarparo con il cuore infranto disse alla figlia: «Ho capito… Se incontri di nuovo quella donna e ti domanda della maledetta promessa tu rispondi così: Ha detto mamma addo’ ‘a verite, v’ ‘a pigliate.» Dopo qualche giorno Mamma Orca incontrò Petrusenella. «Bimba mia bella, hai ricordata a mamma della promessa?» E la ragazza, come le aveva detto la mamma, rispose: «Ha detto mamma: prendetela voi stessa» L’orca non se lo fece dire nemmeno due volte, l’afferrò per i capelli e se la tirò volando per l’aria.
La portò in un bosco e la mise in una torre.
Lì le diede ogni ben di Dio, le regalò abiti nuovi e sontuosi. Le diede addirittura i suoi stessi poteri.
Petrusenella era diventata una fata!
Quando Mamma Orca arrivava alla torre che non aveva né porte né scale, si metteva a cantare: «Petrusenella bella di mammà, acàla le ‘ttrezze ca voglio saglì.»
La ragazza si affacciava alla loggia, calava i capelli e così Mamma Orca si arrampicava.
«Sei la padrona di tutta la mia casa» ripeteva sempre Mamma Orca, «Puoi aprire tutte le camere tranne l’ultima, che si apre con questa chiave. Guai a te se lo fai.»
Quando l’orca usciva, Petrusenella andava a vedere tutte le altre stanze, tranne una. Poi la curiosità era tanta e… tieni oggi, tieni domani, tieni dopodomani, non seppe resistere alla tentazione. Andò ad aprire anche quella stanza.
Lì trovò un giovane che era stato rapito dall’orca. Era secco secco, come un’alice. L’Orca gli dava solo pane e acqua.
«Chi sei? Che ci fai qui?» Disse la ragazza.
«Sono il Principe, il figlio del Re. Sono stato rapito…» e raccontò tutta la storia.
«Nun te ne ‘ngarrica’» disse Petrusinella, incaricandosi di portargli qualcosa da mangiare dalla cucina.
«Hai avuto tanta premura per me, se riesci a liberarmi, ti prometto che scapperemo insieme e ti farò diventare la mia sposa», disse il Principe.
«Ma questo non è possibile perché Mamma Orca mi tiene qui legata con un incantesimo che mi impedisce di fuggire.»
Allora il Principe disse: «Quando Mamma Orca tornerà, cerca di capire, cerca di scoprire, senza farla insospettire, come e quando sarà possibile scappare.»
«Va bene» disse Petrusenella chiudendo di nuovo il giovane nella stanza. Dopo un po’ arrivò Mamma Orca sotto la torre:
«Petrusenella bella di mammà, acàla le ttrezze ca voglio saglì…»
Entrò in casa, mangiò, mangiò tanto, si ingurgitò tre… quattro bicchieri di vino. Poi come faceva ogni sera, si sciolse i capelli li diede in mano a Petrusenella che iniziò a pettinarli. Ma i suoi non erano belli. Erano crespi e cupi, come la sua anima.
Mentre le lisciava i capelli, l’orca stava per addormentarsi, la ragazza disse:
«Mammà, voglio chiedervi una cosa.»
«Dici pure» disse sbadigliando.
«Stanotte ho sognato che me ne ero fuggita.»
«Questo non è possibile figlia mia, almeno che…»
«Almeno che?» Incalzò lei.
«A meno che non porti via con te il pettine, il gomitolo e il fuso.»
Petrusenella continuava a pettinarla dolcemente, nonostante tutto. Mentre Mamma Orca era sempre nel dormiveglia, la fanciulla continuò a chiederle: «Mammà quale potere ha il pettine?»
«Figlia mia, se tu dovessi fuggire, basterebbe dire: pettine mio, per il potere che hai… e saresti al sicuro.»
«Io non vi lascerei per nessuna cosa al mondo» disse Petrusenella, «Ma che potere ha il fuso?»
«Basterebbe dire: fuso mio, per il potere che hai… e vedresti cose mai viste.»
«E anche il gomitolo?»
«Sì, anche il gomitolo, ma adesso lasciami dormire.»
Poco dopo si addormentò, a bocca aperta.
Russava, russava tanto, sembrava un mantice, anzi la canna bassa di un organo.
Allora Petrusenella aspettò le prime luci dell’alba, tolse le lenzuola del letto, le legò e le andò a mettere fuori dalla loggia facendole scorrere in giù.
Poi prese il pettine, il gomitolo e il fuso, andò a liberare il figlio del Re e tutti e due se ne scapparono.
Nel frattempo Mamma Orca si svegliò, si accorse della fuga e iniziò in modo indiavolato a dire:
«E brava! Me l’hai fatta! Sta a vedere se me l’ha fatta Petrusenella!» iniziò a correre dietro ai due innamorati.
Questi quando la videro ebbero paura e iniziarono a correre velocemente. Petrusenella allora prese il pettine e disse: «Pettine mio, per il potere che hai…» Spuntò improvvisamente una montagna alta alta.
Quando l’orca la vide disse a Petrusenella: «Figlia mia come hai fatto a salire lassù?»
E quella…
«Ho ammonticchiato pentole su pentole, mammà!»
Allora l’orca tornò a casa, prese tutte le pentole che aveva, le mise una sopra l’altra tentò di arrampicarsi, ma cadde e si ruppe il braccio.
I due innamorati allora continuarono a fuggire.
L’orca si alzò e con tutto il braccio rotto continuò ad inseguirli.
Allora Petrusenella prese il gomitolo e disse: «Gomitolo mio, per il potere che hai…»
In un attimo comparve un fiume, un fiume agitato, impetuoso.
«Petrusenella mia… Come hai fatto a passare il fiume?» disse la brutta orca.
«Mammà ho preso dei piatti ho costruito un ponte e sono arrivata qui.»
Mamma Orca allora ritornò a casa prese tutti i piatti che aveva, tornò al fiume, li mise uno vicino all’altro. Costruì un ponte. L’Orca però era troppo pesante. Quei piatti non riuscirono a reggere tutto quel peso, così cadde e si ruppe una gamba.
I due innamorati continuarono a scappare.
L’orca con una gamba e un braccio rotto li inseguì.
A questo punto non restò alla giovane che prendere il fuso e dire: «Fuso mio, per il potere che hai…»
Tutto un tratto si alzò una palma altissima. Petrusenella e il suo fidanzato era appollaiati sulla cima.
«Petrusenella mia… Come hai fatto a salire fin su in cima?»
«Ho messo pignatte, su pignatte e son salita qui su» disse la ragazza.
Mamma Orca andò a casa prese tutte le pignatte che aveva, ritornò alla pianta le mise una sopra l’altra, provò a salire, ma scivolò: si ruppe l’altra gamba e l’altro braccio. Le restò solo il tronco del corpo e la lingua per parlare.
Petrusenella venne giù dalla palma e con un colpo d’accetta tra capo e collo, l’ammazzo.
I due innamorati una volta giunti al palazzo, si sposarono e vissero felici e contenti per il resto dei loro giorni.