Giambattista Basile

 

 

 

Giambattista Basile o Giovan Battista Basile (pseudonimo anagrammatico: Gian Alesio Abbattutis; Giugliano in Campania, 15 febbraio 1566 – Giugliano in Campania, 23 febbraio 1632) è stato un letterato, scrittore e funzionario pubblico italiano di epoca barocca, primo a utilizzare la fiaba come forma di espressione popolare.
Dei suoi primi anni di vita non si hanno notizie; raggiunta la giovinezza, si spostò dal suo paese natale e vagò per l’Italia un numero imprecisato di anni. Si arruolò come soldato mercenario al servizio della Repubblica di Venezia, spostandosi tra Venezia e Candia (l’odierna Creta). In questo periodo, l’ambiente della colonia veneta dell’isola gli permise di frequentare una società letteraria, l’Accademia degli Stravaganti, fondata da Andrea Cornaro.
I primi documenti della sua produzione letteraria risalgono al 1604, anno in cui scrisse alcune lettere, come prefazione alla Vaiasseide, all’amico e letterato napoletano Giulio Cesare Cortese. L’anno seguente venne messa in musica la sua villanella Smorza crudel amore. Rientrato a Napoli nel 1608, pubblica il poemetto Il pianto della Vergine. Nel 1611 prese servizio alla corte di Luigi Carafa, principe di Stigliano, al quale dedicò un testo teatrale, Le avventurose disavventure e, successivamente, seguì la sorella Adriana, celebre cantante dell’epoca, alla corte di Vincenzo Gonzaga a Mantova, entrando a far parte della Accademia degli Oziosi. Inoltre curò la prima edizione delle rime di Galeazzo di Tarsia. Nella città lombarda fece stampare madrigali dedicati alla sorella, odi, le Egloghe amorose e lugubri, la seconda edizione riveduta e ampliata de Il pianto della Vergine e il dramma in cinque atti La Venere addolorata.
Tornato a Napoli, fu governatore di vari feudi per conto di alcuni signori meridionali, tra cui Avellino, Montemarano e Lagolibero.


Nel 1618 uscì L’Aretusa, un idillio dedicato al principe Caracciolo di Avellino e l’anno seguente un testo teatrale in cinque atti Il guerriero amante. Fu fratello di Adriana, celebre cantante che raggiunse il primato del canto nella penisola, ai tempi in cui si impose la figura della virtuosa. Morì a Giugliano in Campania il 23 febbraio 1632, dopo aver compiuto 66 anni; venne sepolto nella chiesa di Santa Sofia.
Al Basile si deve l’ideazione di un modello narrativo e del genere fiaba nell’opera Lo cunto de li cunti, overo lo trattenemiento de peccerille (La fiaba delle fiabe, o l’intrattenimento per i più piccoli) Napoli 1634-1636, redatto in lingua napoletana e pubblicato postumo per interessamento della sorella dell’autore, la celebre cantante Adriana Basile.
Questa opera della letteratura barocca compone, in una raffinata architettura, alcune persone e intrecci – come Cenerentola, La bella addormentata, Il gatto sapiente e altre – che ebbero in seguito larga diffusione nella cultura europea dell’epoca tanto da costituire, nelle varie elaborazioni successive, un patrimonio comune a tutta la cultura mondiale.
Lo Cunto è un’opera preparata per il divertimento delle corti. Per la sua complessa struttura e il suo linguaggio teatrale si ispira alle tradizioni del racconto e a vari generi letterari e allestisce un prototipo della letteratura seriale muovendosi tra le regole della commedia dell’arte, del racconto rituale e del formulario alchemico.
L’opera mette in scena alcune parole d’ordine della Tradizione – la necessaria fuga simbolica e iniziatica dei giovani dai vincoli della famiglia patriarcale, il viaggio e i pericoli che comporta fino al confine con la morte, il cambiamento di status visibile anche sulla superficie del corpo – e i loro capricciosi regolatori – il Caso e la Fortuna, la Corte e il Principe, le Fate e gli Orchi, metafore filosofiche e metafisiche. È un’opera scritta nel periodo più folgorante del barocco e dell’invenzione della letteratura come strumento di conoscenza, di piacere e di dominio. I percorsi di questo libro sono una delle chiavi per osservare la cultura barocca e la sua letteratura, il momento della storia europea in cui si scoprono i mondi delle tecniche della comunicazione letteraria e i repertori remoti delle tradizioni marginali, le ferree regole dell’etichetta cortigiana e la furiosa vita della città e della piazza, i grandi viaggi e le culture della diversità.
La lettura e la valutazione dell’opera di Basile è completamente cambiata negli anni settanta-ottanta del Novecento con gli studi di Michele Rak che ha prima ricostruito la tradizione della letteratura in lingua napoletana poi le opere di Basile come letterato di corte fino alla traduzione in lingua italiana con testo a fronte del 1983-1986 realizzata grazie a un lavoro sulle fonti nelle biblioteche storiche – dalla Biblioteca Apostolica Vaticana alla Biblioteca Nazionale di Napoli – che è servita di base per le traduzioni di Nancy Canepa (New York) e Rudolph Scheda (Zurigo) e infine completata con lo scenario dei primi trent’anni del Seicento napoletano nel volume. Giambattista Basile trascorse molto tempo nelle corti dei nobili del Regno di Napoli; i racconti del Pentamerone sono ambientati nei boschi e nei castelli della Basilicata, e in particolare nella città di Acerenza. La prima traduzione dell’opera in lingua italiana fu realizzata dalla tipografia Migliaccio a Napoli nel XVIII secolo.

 

Lo Cunto de li Cunti

Lo Cunto de li Cunti overo lo trattenemiento de peccerille è una raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile, edite fra il 1634 e il 1636 a Napoli. L’opera, nota anche con il titolo di Pentamerone (cinque giornate), è costituita da 50 fiabe, raccontate da 10 novellatrici in 5 giorni. Le 50 fiabe sono collocate in una cornice che segue il modello del Decameron di Giovanni Boccaccio, anche se diversi sono il linguaggio e i temi trattati; l’autore dedicò Lo cunto de li cunti ai membri dell’Accademia napoletana degli Oziosi.
L’opera ha le caratteristiche della novella medievale, che subisce però una trasformazione orientandosi verso toni fiabeschi e attingendo a motivi popolari. Malgrado la materia fiabesca e il sottotitolo, la raccolta è destinata a un pubblico di adulti poiché tratta temi complessi.
L’opera è composta da cinquanta racconti. La cornice narrativa costituisce il primo di essi, da cui scaturiscono gli altri quarantanove, narrati da dieci personaggi per cinque giornate; alla fine, con l’ultima fiaba, si ritorna alla vicenda principale, che ritrova la sua conclusione.
Il racconto della cornice, infatti, narra la vicenda della principessa Lucrezia, detta Zoza, che si trova nella condizione di non riuscire più a ridere. Invano il padre si sforza di strapparle un sorriso, facendo venire a corte una gran quantità di saltimbanchi, buffoni e uomini di spettacolo: Zoza non riesce ad uscire dal suo perenne stato di malinconia. Un giorno, però, mentre si trova affacciata alla finestra della sua stanza, scoppia a ridere allorquando vede una vecchia cadere e poi compiere un gesto osceno di rivalsa e di protesta. La vecchia si vendica della risata della giovane principessa con una maledizione: Zoza potrà sposarsi solo con Tadeo, un principe che a causa di un incantesimo giace in un sepolcro in uno stato di morte apparente, e che riuscirà a svegliarsi solo se una fanciulla riuscirà a riempire in tre giorni un’anfora con le sue lacrime. Zoza inizia l’impresa; l’anfora è quasi colma quando ella, stremata dalla fatica, si addormenta. È allora che una schiava moresca si sostituisce a lei, versando le ultime lacrime in modo da svegliare il principe, e si fa sposare. Zoza, però, riesce a infondere nella schiava il desiderio di ascoltare fiabe, e dà l’incarico a dieci ripugnanti vecchie di narrare una novella ciascuna al giorno, per cinque giorni. Alla fine Zoza si sostituisce all’ultima novellatrice, raccontando la propria storia come ultima novella. Così il principe viene a conoscenza dell’inganno che gli è stato teso, condanna a morte la schiava moresca e sposa Zoza.
Alla fine di ognuna delle prime quattro giornate compare un dialogo in versi, o egloga, a carattere satirico e morale, in cui si colpiscono, rappresentandoli in stile iperbolico e grottesco, i vari vizi umani, dall’ipocrisia alla cupidigia.
Tra le fiabe più famose vi è la sesta della prima giornata, dal nome La gatta Cenerentola, che è una nota versione della famosa fiaba Cenerentola, racconto popolare tramandato sin dall’antichità in centinaia di versioni provenienti da diversi continenti. Lo stesso racconto popolare sarà ripreso con diverse varianti dopo alcuni decenni da Charles Perrault (Cendrillon) e nel XIX secolo dai fratelli Grimm (Aschenbrödel). Dalla novella di Basile è tratta l’opera omonima di Roberto De Simone. La Napoli di Basile è plebea, miserabile, chiassosa, turpe, popolata da taverne, bordelli, bische, malefemmine. E i personaggi dei cinquanta racconti si raccolgono con lo scopo di far ridere il lettore.
Basile era un moralista, che vedeva dappertutto i segni del “mondo alla rovescia”: “buffoni regalati, furfanti stimati, poltroni onorati, assassini spalleggiati, zanettoni patrocinati e uomini dabbene poco apprezzati e stimati”. Egli comprese anche il segreto della favola, il quale non consiste nell’evocazione del meraviglioso e dell’impossibile, ma nella costruzione di un universo perfettamente geometrico, dove le azioni e le reazioni vengono ripetute con una astratta precisione.


Le novelle di Giambattista Basile sono ambientate in Basilicata e in Campania, luoghi dove l’autore trascorse buona parte della sua vita presso i nobili locali. Tra i luoghi legati alle novelle troviamo la città di Acerenza e il Castello di Lagopesole, dove si ambienta la fiaba di Raperonzolo.
Il filosofo Benedetto Croce pubblicò nel 1924 il Pentamerone in italiano, definendo nella premessa la raccolta come “il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari”. La sua elegante versione, al di là delle sue dichiarazioni di essersi attenuto fedelmente al testo originale, ha mostrato che Croce spesso censurò parole che considerava offensive per categorie come donne e bambini. Il contributo della traduzione crociana che, nella mediazione di studiosi come Norman Mosley Penzer, ha iniziato il cammino novecentesco del Cunto, presenta uno dei suoi limiti più forti nel processo di voluta epurazione linguistico-testuale dei racconti basiliani, dai quali vengono quasi sempre omessi o non analizzati i molteplici rimandi a una tradizione storico-letteraria aulica su cui Basile poggia, invece, l’ossatura del Cunto.
Il processo di ricontestualizzazione storica dell’opera ha avuto il suo risultato più importante negli studi di Michele Rak su Basile. Già nel 1974, con la pubblicazione de La maschera della fortuna. Lettura del Basile “toscano” (Napoli, Liguori), Rak ha ritrattato la dicotomia “Basile-Abbattutis” che aveva costituito il punto centrale nell’analisi di studiosi come Vittorio Imbriani e lo stesso Croce. Nella storia della critica contemporanea sul Cunto, gli studi di Michele Rak su Basile e sul Seicento napoletano hanno inaugurato un nuovo filone che, per molti aspetti, si colloca come risposta alla scuola di pensiero crociano. Allo stile ideologicamente sintetico dell’edizione italiana del Cunto pubblicata da Croce, la traduzione italiana di Michele Rak, uscita per Garzanti nel 1986, ha restituito il Cunto al suo contesto: l’ambiente intellettuale del barocco napoletano. Definito come il testo capostipite del genere europeo del racconto fiabesco moderno, il Cunto viene collocato da Rak nel vivo di un dibattito intellettuale che ebbe il suo centro nelle accademie di cui Basile fu parte, insieme a un gruppo di scrittori che promossero l’uso letterario del napoletano, lingua in cui fu scritto anche il Cunto[4]. Nell’ambito di un’analisi che ha guardato al contesto delle pratiche letterarie a Napoli nel primo Seicento, Rak ha storicamente posizionato il Cunto come opera-spettacolo destinata all’intrattenimento cortigiano. In questo contesto Rak ha colto la natura “aperta” dei racconti basiliani e il rapporto tra narratore, testo e performance.
Una traduzione è offerta anche dallo scrittore conterraneo Gaetano Corrado. Inoltre, una versione completa per ragazzi è stata curata da Domenico Basile discendente del famoso letterato, e Grazia Zanotti Cavazzoni, e pubblicata dall’editore “L’isola dei Ragazzi” in cinque volumi, uno per ogni giornata.